Se ti tagliassero a pezzetti (la Chiesa li ricomprerebbe): il culto delle reliquie nel Medioevo

Cari e care, inauguriamo questo 2019 parlando di un’altra delle manie feticiste dei nostri amici medievali: il culto delle reliquie. Ma cosa erano queste reliquie? Bhe, potevano essere qualsiasi cosa: parti della salma di santi e martiri, oggetti loro appartenuti, ma anche semplicemente qualsiasi arnese che fosse venuto a contatto con il loro sepolcro.

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Superfluo dire che, secondo i fedeli di un tempo, le reliquie avevano straordinari poteri taumaturgici: bastava sfiorarle o inginocchiarvisi di fronte perché i paralitici tornassero a zampettare come lepri, i ciechi riacquistassero diottrie e i lebbrosi riottenessero una pelle di pesca. Inoltre, fin dai primi secoli, la Chiesa aveva intrapreso l’uso (sancito poi dal II Concilio di Nicea, nel 787) di riporre le reliquie di martiri all’interno degli altari, per consacrarli: l’altare era la mensa su cui quotidianamente si rinnovava, attraverso l’eucarestia, il sacrificio di Cristo; quale modo migliore, per onorarlo, se non riporre al suo interno i resti di coloro che ne avevano imitato il sacrificio, morendo per la fede?
Da lì in poi santuari e basiliche d’Oriente e d’Occidente iniziarono a manifestare una forsennata bramosia di reliquie, lanciandosi in una gara all’ultimo ossicino, destinata ad assumere risvolti quasi comici.

Ma facciamo un passo indietro, per capire dove nasce questa strana mania tutta medievale.

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Pioniera della caccia alle reliquie fu Sant’Elena, madre dell’Imperatore Costantino che, come una Lara Croft ante litteram, nel IV secolo, partì alla volta della Terrasanta, per recuperare la croce su cui Cristo aveva subito il supplizio.
La Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine ci racconta che, una volta arrivata a Gerusalemme, l’Imperatrice si imbatté in un tale che conosceva il sito in cui la reliquia era sepolta; il tizio, che neanche a farlo apposta era ebreo e si chiamava Giuda (e già la presentazione, visti i precedenti, non prometteva niente di buono) non voleva però svelare alla cristianissima imperatrice il luogo segreto. Fu così che Sant’Elena decise, molto diplomaticamente, di far gettare l’infingardo nel fondo di un pozzo, privandolo di pane e acqua, finché non si fosse deciso a parlare, dimostrando al mondo intero che nel Medioevo il rendersi colpevole della violazione dei più elementari diritti umani non era d’ostacolo alla santità. Dopo 7 giorni e 7 notti Giuda cedette, indicando il luogo sacro nel Golgota, una collina poco distante da Gerusalemme.
L’imperatrice, dopo aver assoldato una manciata di tirocinanti archeologi, iniziò gli scavi, e… meraviglia delle meraviglie, a riemergere non fu solo una croce, ma tre: quella di Gesù e quelle dei ladroni! Come distinguere quella di Cristo dalle altre due? Ma mettendo alla prova le sue virtù miracolose, ovviamente! Sant’Elena fece portare sul sito un defunto e lo accostò ad ognuna delle tre croci: solo a contatto con la Vera Croce di Gesù però, il fortunato poté riacquistare la vita e balzare in piedi, assicurando a gran voce a tutti di stare benissimo. La croce venne dunque fatta a pezzi e i suoi preziosi frammenti vennero divisi tra le chiese di Gerusalemme, Roma e Costantinopoli.

Da quel momento tutto il mondo cristiano venne contagiato dalla febbre delle reliquie. Ovunque era un pullulare di schegge di croce, corone di spine, chiodi, sudari, ossa, denti e lembi di vesti appartenuti a qualche personaggio biblico, santo o presunto tale. I santuari, con lo scopo di incrementare la propria fama e arricchirsi, non esitavano ad approfittare della fede cieca dei pellegrini, accaparrandosi i reperti più strani. Inutile dire che innumerevoli furono le speculazioni, i casi di false reliquie e il traffico di oggetti quanto meno strampalati.

A tal proposito, ho deciso di deliziarvi con un’altra delle mie classifiche: ecco a voi la top 7delle reliquie più assurde del Medioevo.

Gli anelli della Vergine Maria (e Pandora muta)

Iniziamo con qualcosa di soft. San Giuseppe, a quanto pare, era uno che non badava a spese e amava ricoprire la mogliettina di regali, soprattutto di anelli. Sono giunti fino a noi l’anello di fidanzamento, conservato nella Cattedrale di Notre Dame di Parigi, un altro anello più modesto, da tutti i giorni, conservato nella chiesa di San Giuseppe a Messina e l’anello nuziale, conservato nella Cattedrale di San Lorenzo a Perugia. Riguardo al gusto, però, avrei qualche obiezione da fare. L’anello di Perugia, in particolare, oltre ad essere troppo piccolo per qualsiasi dito umano, mi sembra pericolosamente simile a una Polo, le caramelle alla menta che mio nonno mi comprava da piccola.

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Le teste di San Giovanni Battista

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Come diceva sempre la mia professoressa di Archeologia paleocristiana: «Se tutti i crani attribuiti a San Giovanni Battista e sparsi nelle chiese del mondo fossero veri, non ce lo dovremmo immaginare come un uomo, ma come un mostro mitologico a cento teste». In effetti il cugino di Gesù era uno dei Santi più amati dai cacciatori di reliquie. Esemplari della Santa Capoccia sono conservati a Roma, ad Amiens e a Istanbul.

Il Santo Pannolino di Gesù

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Anche Gesù, lo sappiamo bene, è stato un bambino e in quanto tale, per alcuni mesi della sua vita, le sue uniche attività sono state mangiare ed evacuare. A testimonianza di ciò, nel Museo del Duomo di Spoleto e a Lérida, in Spagna, sono conservati due esemplari del suo Santo Pannolino. Quello di Spoleto è stato certificato come originale (non saprei su che basi) nientepopodimeno che da Papa Alessandro III, nel XII secolo. Alle mamme pancine piace questo elemento.

Il latte della Vergine Maria (in polvere)

Un’altra reliquia che farebbe andare in brodo di giuggiole le mamme pancine è conservata a Montevarchi, in Toscana e consiste in una boccetta contente, al suo interno, una polvere biancastra interpretata come il latte essiccato proveniente dal seno della Vergine Maria. Nonostante il condivisibile scetticismo di San Bernardino da Siena («Era forse una mucca la Madonna, per farsi mungere e distribuire il suo latte a destra e manca?» ci dice in una sua predica), i fedeli erano devotissimi alla reliquia, che consideravano un toccasana contro l’infertilità e la scarsità di latte nelle puerpere.

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“Ma è quello della Lola!”

Un reperto simile è conservato anche a Chartrese e risalirebbe, secondo la tradizione, al XII secolo. L’allora vescovo della città Fulberto era infatti afflitto da fastidiosi bruciori alla lingua e alla gola. Fortunatamente una notte la Madonna lo visitò in sogno e gli riversò un po’ del suo latte in bocca. La guarigione, come da copione, fu istantanea e le gocce di liquido colate sul mento del prelato furono raccolte ed esposte alla venerazione del popolo.

Lo sterco dell’asino che portò Gesù a Gerusalemme

Questa prendetela con le pinze, perché le notizie che ho trovato non mi sono parse del tutto attendibili, ma diciamo che se fosse vero non mi stupirebbe: pare che nei pressi di Colonia, nel monastero di Gräfrath, fosse un tempo conservato lo sterco dell’asino cavalcato da Gesù per compiere l’ingresso a Gerusalemme, la Domenica delle palme. Evidentemente già all’epoca c’era qualche virtuoso che andava in giro con paletta e sacchetti raccogli-escrementi.

Il Santo Prepuzio

Proseguendo sul filone dell’orrido, approdiamo poi a una delle reliquie più celebri, il Santo Prepuzio, asportato a Gesù otto giorni dopo la nascita, in ossequio alle leggi ebraiche che prevedevano la circoncisione di tutti i maschietti.

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Il reperto, un tempo conservato in San Giovanni in Laterano a Roma e poi a Calcata, in provincia di Viterbo, era oggetto di una straordinaria devozione da parte dei fedeli, che lo portavano in processione ogni 1 gennaio; nel 1983, purtroppissimo, fu rubato e mai più ritrovato. Ma non temete, sparsi per le chiese del mondo (ad esempio ad Anversa, Santiago di Compostela e Metz) sono attestati almeno una decina di altri prepuzi, che contribuiscono a rendere un’idea piuttosto inquietante di quella che doveva essere l’anatomia di Gesù Bambino.

Lo starnuto dello Spirito Santo 

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Concludiamo infine con la reliquia capolista(o almeno la mia preferita): lo starnuto dello Spirito Santo, un tempo conservato in una fiala all’interno della chiesa di Saint-Front a Périgueux, in Francia. Il Dictionnaire critique des reliques et des images miraculeuses ci informa che lo straordinario oggetto finì purtroppo bruciato dagli ugonotti durante le guerre di religione, lasciando i poveri fedeli più smarriti che mai.
Altrettanto smarrita mi sono sentita io nell’apprendere dell’esistenza di una simile reliquia, anche perché, nonostante tanti anni di catechismo, non ho mai ben capito cosa fosse questo ineffabile Spirito Santo. Nella Bibbia ci dicono che compare spesso sotto forma di colomba e io, anche se non ho molta esperienza in fatto di colombe, posso dire, senza falsa modestia, di aver osservato a lungo i piccioni nel corso della mia vita. Eppure non li ho mai visti starnutire. Mangiare cicche di sigaretta sì, sopravvivere nonostante ali ferite e zampe deformi pure, ma starnutire mai. Eppure le colombe sono più o meno cugine dei piccioni, possibile che abbiano abitudini così diverse? Non so, resta il fatto che la colomba dello Spirito Santo starnutì, e la reliquia di Périgueux ne è la prova. Speriamo almeno che non avesse l’aviaria.

P. S.: Se il tema vi ha appassionati vi lascio qualche spunto per approfondire:

QUI trovate “Reliquiosamente”, un blog molto curato, tutto dedicato alle reliquie.
QUI una bella puntata de “La Grande Storia” dal titolo “Tracce di Fede”, che vi guiderà in un viaggio attraverso le principali reliquie cristiane.

Bacetti e a presto!

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