Ricordati che devi morire (e possibilmente male): le 5 morti più fantasiose del Medioevo

«Ricordati che devi morire!»
«Sì sì, mo’ me lo segno…»

Così rispondeva un perplesso Massimo Troisi al benaugurante saluto di un frate in Non ci resta che piangere.

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In effetti, al fatto che la morte fosse sempre dietro l’angolo, i nostri amici medievali dovevano averci fatto il callo: guerre, carestie, pestilenze erano un po’ una routine. Nonostante ciò non mancavano anche modi più fantasiosi di passare all’altro mondo. Perciò, visto che Halloween è passato da poco e ha lasciato in me un certo residuo di vena macabra (balle, la mia vena macabra è lì 365 giorni all’anno), a tempo perso vi faccio una classifica dei personaggi medievali che, a mio parere, hanno deciso di tirare le cuoia nei modi più memorabili.

Bela I d’Ungheria

«Quando si gioca al gioco del trono, o si vince o si muore. Non esistono terre di nessuno» ci informa George R. R. Martin che, in qualità di autore del Trono di Spade, di morti brutte se ne intende.

Uno che evidentemente prese queste parole troppo alla lettera fu Bela I re d’Ungheria, impegnato, attorno alla metà del XII secolo, in una lotta senza quartiere con il fratello Andrea e il nipote Salomone per la conquista del potere. Quando finalmente, nel 1160, Bela riuscì a prendere possesso del seggio regale, decise che per niente al mondo se lo sarebbe lasciato sfuggire.

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Bela sul trono. Prima che si spaccasse.

Ora, io non so se questo cavolo di trono l’avesse progettato l’Ingegner Cane, o se per risparmiare gli ungheresi l’avessero comprato all’Ikea e, non capendo un acca delle istruzioni, avessero finito per montarlo un po’ a vanvera. O se ancora, nel fervore della lotta dinastica, per stare più saldo sul seggio Bela si fosse messo dei rinforzi d’acciaio sotto le chiappe. Fatto sta che, nel 1163, mentre il sovrano si ergeva fiero sul suo scranno, questo finì per non reggere il peso di cotanta maestà e si spaccò in mille pezzi. Il povero Bela finì gambe all’aria e riportò ferite talmente gravi da morire pochi giorni dopo.

Cosa ci insegna questa triste storia? Che anche sul trono più alto del mondo, stiamo pur sempre seduti sul nostro culo. E se indossiamo il caschetto e le ginocchiere è meglio.

Ezzelino III da Romano

Citando di nuovo Il Trono di Spade, Ezzelino da Romano era un personaggio in grado di dare lezioni di crudeltà persino a Ramsay Bolton.

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Ezzelino e Ramsay

Grande alleato dell’Imperatore Federico II e signore di un vasto territorio comprendente le città di Brescia, Vicenza, Verona, Trento e Belluno, era riuscito a farsi conoscere per le sue grandi abilità militari, ma ancor di più per la sua violenza e il suo sadismo. Il suo hobby principale era accecare fanciulli innocenti, ideare sempre nuovi metodi di tortura e costruire terribili carceri, per poi dilettarsi ad ascoltare i lamenti strazianti dei prigionieri. Ma come morì lui?

Ci dicono le cronache che, durante una battaglia, dopo essere stato gravemente ferito, cadde in mano ai nemici cremonesi, i quali, per carità cristiana (o per il vantaggio di detenere un ostaggio tanto influente), si preoccuparono pure di farlo curare e di medicargli le ferite. Ezzelino però non era il tipo da apprezzare simili delicatezze e neanche da avere la pazienza di lasciare che fosse il karma a restituirgli tutto il dolore che aveva causato al prossimo con le sue crudeltà: «Ghe pensi mi» disse ai carcerieri. Rifiutò cibo, cure e sacramenti e preferì provocarsi  la morte strappandosi le bende e riaprendosi le ferite con le sue stesse mani, in modo da morire dissanguato.

A distanza di 8 secoli il suo coefficiente di simpatia rimane tale che tutt’oggi, a Soncino, borgo in cui è morto, ogni settimana le campane suonano a festa, per celebrare la sua dipartita.

Pietro Aretino

Lo so, lo so, con Pietro Aretino siamo un pochino oltre i confini del Medioevo e ci spostiamo verso il Rinascimento. Però ho pensato che in fondo, essendo nato il 20 aprile 1492, per almeno 6 mesi della sua esistenza è stato a tutti gli effetti un personaggio dei cosiddetti secoli bui! E poi lo sappiamo che queste cesure così nette tra epoche storiche non sono altro che convenzioni buone solo sulla carta. In sostanza, chiudete un occhio e concedetemi di inserirlo in classifica, anche perché, se non altro, la sua morte porta una ventata di leggerezza in un post che altrimenti diventerebbe davvero troppo macabro.

Controverso scrittore attivo tra Roma e Venezia, Pietro è passato alla storia in particolare per i suoi scritti di argomento erotico. Ecco, in realtà definirli “erotici” sarebbe un tantino riduttivo. Quando per la prima volta, mentre preparavo l’esame di Letteratura italiana, mi sono imbattuta nei suoi “Sonetti lussuriosi” per poco non mi sono usciti gli occhi dalle orbite. E dire che non sono esattamente una monaca benedettina. Ad ogni modo, se siete maggiorenni e volete farvi un’idea di cosa si tratti, vi lascio qui un link che rimanda ai suoi componimenti.

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Incisione di Marcantonio Raimondi (da disegno di Giulio Romano) 1520 circa. A tali opere si ispirò l’Aretino per i suoi sonetti.

Comunque, che Pietro fosse un amante della vita godereccia è cosa nota e pare che non abbia smentito le proprie inclinazioni neanche al momento della morte: la tradizione vuole infatti che sia passato all’altro mondo strozzandosi dal ridere dopo aver sentito una barzelletta sconcia. E se pensate che sia assurdo, sappiate che simili decessi son ben documentati in medicina e nella storia: allo stesso modo resero l’anima al Creatore anche il pittore greco Zeusi, il filosofo Diogene Laerziore Martino I d’Aragona e, in tempi più recenti, un’altra manciata di illustri sconosciuti che potete trovare su Wikipedia alla voce “Morte da risata” (come potete notare le mie fonti sono sempre delle più autorevoli).

Anche da questa storia comunque potete trarre un valido insegnamento: ad esempio che da oggi avete un  buon motivo in più per tenervi stretto il vostro malumore.

Andronico I Comneno

Che i Bizantini fossero pazzi (e che non avessero nomi normali) ve l’avevo già abbondantemente spiegato in quest’articolo. Ma se volete avere ulteriori prove vi riporto qui una delle pagine del libro “L’oro di Bisanzio” di René Guerdan, in cui si racconta della fine riservata, nel 1185, all’Imperatore Andronico I Comneno:

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“Si può immaginare un supplizio più tremendo di quello inflitto al Basileus Andronico, incolpato di usurpazione? Per più giorni l’infelice fu esposto alla gogna, coperto di catene e con il capo rinserrato in un cerchio di metallo.
La folla lo ricoprì di colpi, gli spezzò i denti a colpi di martello, gli mozzò una mano che venne appesa a una forca. Alla fine fu legato, nudo, stremato, mezzo morto, a un vecchio cammello spelacchiato, rognoso, diarroico, con la testa sotto la coda della bestia.
Ad ogni istante gli escrementi dell’animale malato gli insudiciavano la faccia. Così legato venne condotto per la città, alla ricerca di 
nuovi supplizi. Una donna gli rovesciò sulla faccia un secchio di acqua bollente. Dalle finestre gli buttarono addosso il contenuto dei vasi da notte; un passante gli cavò un occhio. Il disgraziato era ancora vivo e ripeteva ad intervalli regolari: «Signore, abbi pietà di me; perché colpisci una canna già spezzata?». Nell’ippodromo venne appeso per i piedi e ricominciarono le torture. Alla fine, un passante gli attraversò con la spada gli intestini, ma poiché quello spirando portò il moncherino sanguinante alla bocca,disse queste parole atroci: «Vedete, poiché non può abbeverarsi del sangue dei suoi sudditi beve il proprio». 

Adesso, specificando che mi astengo da ogni commento e che ho smesso da tempo di cercare una spiegazione ragionevole allo stile di vita bizantino…la domanda fondamentale rimane: ma dove l’hanno trovato un cammello vecchio, spelacchiato, rognoso e diarroico???

Carlo VIII

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Con Carlo VIII lasciamo da parte questi folli bizantini e torniamo nel più rassicurante (ma mica tanto) Occidente. Anche in questo caso siamo proprio agli sgoccioli del Medioevo, alla fine del Quattrocento. Nel 1494 infatti, Carlo VIII, a capo di uno stato francese ormai potente e consolidato, era disceso in armi in Italia, ben deciso a conquistare il Regno di Napoli, che sosteneva spettargli di diritto per complicati intrecci dinastici che non sto qui a spiegarvi.  Nonostante i ritratti dell’epoca ci abbiano restituito di lui l’immagine di un giovanotto smuntonasone e con un’espressione vivace e brillante da tinca lessata, Carlo VIII stupì i contemporanei e forse persino se stesso, riuscendo senza troppi sforzi ad insediarsi a Napoli e costringendo alla fuga il povero re Ferrandino d’Aragona. E probabilmente sarebbe anche uscito vittorioso dalla sua impresa se non gli si fosse coalizzata contro mezza Europa: le signorie italiane, il Papa, la Spagna e gli Asburgo.

Tuttavia a dare il colpo di grazia all’ambizioso sovrano fu, al ritorno in Francia, un incidente banale. Nel 1498,  a soli 27 anni, andò a fracassarsi la capoccia contro l’architrave di una porta mentre, a cavallo, si recava a una partita di pallacorda. Lo sapevo che uno con quella faccia da morto di sonno non poteva andare troppo lontano.

Eschilo

E per concludere in bellezza (anche se fuori categoria, non essendo un personaggio medievale) non posso non citare Eschilo, il maestro di tutti gli aspiranti vincitori del Darwin Awards (il riconoscimento assegnato a chi facilita l’evoluzione della specie passando all’altro mondo in modo platealmente stupido).

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Dopo una vita passata a scrivere tragedie, infatti, Eschilo decise di dire il suo addio al mondo in modo decisamente comico: mentre era comodamente seduto a riflettere sui massimi sistemi, la sua testolina calva andò ad attirare l’attenzione di un’aquila che passava dì là con una tartaruga tra gli artigli. Scambiando la pelata per una roccia, il rapace avrebbe lasciato cadere la preda, con l’intenzione di romperne il guscio per avere accesso al succulento contenuto. A rompersi invece fu la testa del tragediografo, che ci rimase secco sul colpo.

Morale della favola? Uomini, rivalutate il riportino.

Per oggi le morti assurde finiscono qua. Qual è la stata la vostra dipartita preferita, tra quelle che vi ho raccontato? E conoscete altri casi di trapassi particolarmente fantasiosi? In tal caso non esitate a scrivermeli nei commenti. A presto!

3 comments

  1. La mia morte surreale preferita resta quella di Tycho Brahe (ottobre 1601, quindi anche questa fuori dal Medioevo), che per non andare in bagno durante un banchetto, gesto a suo avviso sconveniente, si fece esplodere la vescica, morendo 11 giorni dopo.

  2. Divertente, un solo appunto sul probabile omicida di Eschilo! In molte fonti è riportato il fatto come dici tu, ucciso da un’Aquila (reale?) che l’ha centrato con una “tartaruga” (sarebbe meglio dire Testuggine, perché quelle terrestri e di acqua dolce così si chiamano, mentre le vere Tartarughe sono soltanto quella marine).
    Venendo al dunque, fatto salvo che il suo cranio sia stato spappolato dal rettile, la tecnica di lanciare sulle pietre le ossa o, più raramente, le Testuggini per aprirle (nel primo caso per arrivare al midollo osseo e nel secondo per “sgusciare” la Testuggine) non è tipica delle aquile ma di un altro rapace, nello specifico il Gipeto (Gypaetos barbatus), conosciuto anche come Avvoltoio barbuto o A. degli agnelli. Cordiali saluti! 🙂

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